EFFICIENZA ENERGETICA

Cambiamenti climatici: interazioni ambientali con il sistema vetrato – Seconda parte

La temperatura rappresenta per il vetro un aspetto contestuale particolarmente influente il cui effetto sul comportamento del vetro (inteso come “struttura complessa”) può essere particolarmente pernicioso dato che ne influenza diverse caratteristiche macroscopiche.

Nella prima parte di questo articolo, pubblicato su Rivista del Vetro 1/2024 e sul sito, è stato posto l’accento su:

1) comportamento del plastico di stratifica al variare della temperatura,

2) insorgenza di sollecitazioni meccaniche causate in seno al vetro dalla presenza di ombre,

3) effetto dell’espansione termica e conseguente variazione di pressione del gas isolante sul comportamento delle sigillature primaria e secondaria nelle vetrocamere.

Il vetro multistrato, composto da lastre di vetro rese solidali dal cosiddetto “plastico di stratifica”, ha un comportamento meccanico macroscopico che dipende in maniera rilevante dalla temperatura di impiego oltre che dal tipo di appoggio attraverso il quale trasferisce le sollecitazioni al contesto strutturale.

Esistono polimeri molto sensibili all’effetto della temperatura (come quelli a base P.V.B.) che vedono ridurre la propria rigidezza in maniera sostanziale passando da temperature prossime a 0°C a temperature di 40°C. Lo spessore equivalente del vetro stratificato dipende quindi dall’intensità con cui decade il modulo di taglio G[MPa] al variare delle temperature. Riducendosi lo “Spessore Equivalente” aumenta la cedevolezza del multistrato e si sovrasollecitano meccanicamente le lastre di vetro.

La dilatazione termica differenziale, dovuta alla presenza di ombre proiettate sulle vetrate, può indurre la rottura delle lastre in vetro ricotto per semplice dilatazione termica del vetro stesso. In questo caso, se si vuole evitare di temprare le lastre di vetro (sia per non incorrere in distorsioni ottiche oltre che per limitare i costi) e si vuole ridurre (non evitare) il rischio di rottura per dilatazione termica, è necessario partire da un elevato livello di qualità della finitura di bordo. Per elevato livello della finitura di bordo si intende una molatura a filo lucido che minimizzi la dimensione dei difetti del bordo stesso. La meccanica della frattura lineare elastica (LEFM) ben descrive il legame tra profondità delle cricche di bordo dei vetri e lo stato tensionale indotto dalle dilatazioni termiche del vetro.

Le sigillature dei profili distanziali per la realizzazione delle vetrocamere ne costituiscono da una parte la chiave vincente atta ad aumentare l’isolamento termico delle vetrazioni isolanti, ma rappresentano, allo stesso tempo il punto debole della durata delle stesse. La sigillatura di bordo è soggetta al fenomeno di fatica ciclica di tipo meccanico causata dalla variazione di pressione interna del gas isolante dettata dalle fluttuazioni termiche (principalmente) e dalle oscillazioni barometriche durante l’arco della giornata. Questo quotidiano deformarsi dei vetri (a causa delle fluttuazioni della pressione interna del gas presente tra le lastre di vetro) può indurre cavitazioni e rotture occulte della sigillatura primaria tali da compromettere la vita della vetrocamera in tempi più brevi di quanto atteso.

Nella seconda parte dell’articolo viene preso in considerazione anche l’effetto dell’acqua, altro elemento naturale fortemente influente sul comportamento macroscopico delle lastre di vetro.

Progettare non vuol dire solo “calcolare lo spessore”, ma presuppone una scelta ragionata e motivata delle soluzioni che la tecnologia mette oggi a disposizione di progettisti e trasformatori del vetro.

Vento

Il vento sui vetri deve essere considerato in stretta correlazione al CNR DT207/R1 per poter valutare l’effetto locale del vento sull’elemento. Gli effetti delle turbolenze e delle depressioni laterali e/o retrostanti vanno presi in considerazione. Il vento medio serve per effettuare una prima stima, ma in fase di progettazione è necessario approfondire il comportamento locale delle lastre di vetro che si progettano e/o installano.

L’appendice G e l’appendice H del CNR DT207R1 sono particolarmente chiare e utili per la definizione dell’effettivo carico del vento per una molteplicità di casi (https://www.cnr.it/it/node/2627).

Acqua

L’acqua può essere, a buona ragione, definita la “bestia nera” dei materiali da costruzione. Dal punto di vista chimico la sua struttura polare la porta a far interagire le molecole di acqua, a mezzo di legami idrogeno, con gli ossidrili (gruppi -O-H) presenti sulle superfici dei materiali con cui entra in contatto (vedi figura 2).

 

Fig. 2 – schema del legame idrogeno, dovuto allo sbilanciamento di cariche tra Ossigeno ed Idrogeno, che si sviluppa tra l’Idrogeno (tendenzialmente positivo) di una molecola e l’Ossigeno (tendenzialmente negativo) di una molecola vicina [Quora]
Acqua vs Vetro

Le molecole di acqua presenti in atmosfera sono in grado di aggredire microstrutturalmente il vetro intervenendo sui legami Silicio-Ossigeno (SiO) del vetro. Il fenomeno, detto “corrosione in presenza di sforzo” (in inglese: SSC Stress Corrosion Cracking) comporta un accrescimento delle microcricche presenti naturalmente sulla superficie del bordo delle lastre di vetro. Un accrescimento peraltro subdolo perchè non immediatamente visibile. Quando la cricca diviene visibile questo vuol dire che si è trasformata in lesione e che la lastra di vetro è irreparabilmente danneggiata (vedi figura 3).

 

Fig. 3 – Schema dell’accrescimento delle microcricche superficiali indotto dalle molecole di acqua presenti in atmosfera
[corso di Materiali – Univ. di Manchester]

Le cricche, crescendo di lunghezza, fanno aumentare il coefficiente di intensificazione degli sforzi presenti all’apice delle cricche stesse e quindi riducono la resistenza del vetro. Si può pertanto affermare che la resistenza del vetro decresce nel tempo e che non esiste un carico di rottura specifico del vetro.

Le formule che descrivono la resistenza del vetro, infatti, presentano una dipendenza dalla durata di applicazione del carico. La riduzione della resistenza di progetto in funzione della durata prevista del carico coinvolge maggiormente il vetro ricotto, ma anche la resistenza del vetro temprato o indurito è influenzata dal fenomeno descritto. Il parametro che deprime con il tempo la resistenza del vetro è detto “Kmod” ed è tabellato nelle norme che consentono di progettare il vetro.

Secondo la meccanica della frattura lineare elastica (L.E.F.M.), teoria che meglio descrive il fenomeno fisico di accrescimento della cricca rispetto alle norme di progettazione, la progettazione del vetro ricotto deve essere fatta sulla base della soglia KIC propria dei materiali perfettamente elastici con rottura fragile, avendo cura di mantenere il fattore di intensificazione degli sforzi KI al di sotto del valore soglia: KI < KIC.

Per non dilungarci troppo ricordiamo semplicemente che:

  1. a) KI, a meno di coefficienti geometrici, è funzione del prodotto tra la profondità della cricca e dello stato di sforzo attualmente presente nel vetro;
  2. b) La velocità di crescita della cricca è funzione del tasso di umidità atmosferica presente laddove il manufatto viene installato;
  3. c) KIC è un valore soglia caratteristico di tutti i materiali, siano essi duttili o fragili.

Acqua vs Vetro Stratificato

Il tema dell’interazione di un vetro stratificato con l’acqua è un tema particolarmente sensibile non solo perché l’Italia è un paese con migliaia di chilometri di costa e di migliaia di chilometri di creste alpine (dove la gelività risulta essere un problema aggiuntivo all’aspetto chimico che descriveremo di seguito), ma anche perché sempre più spesso si cerca di nobilitare le passeggiate lungo arenili marini o lacustri così come molta cura viene dedicata alla valorizzazione estetica di recinti di accesso alle piscine o di balconi, grazie all’impiego di vetro stratificato (vedi figura 4).

 

Fig. 4 – Le coste italiane
[https://mydbook.giuntitvp.it/app/books/GIAC01_G0180901H/html/58]
Plastico di stratifica Polivinilbutirrale (PVB)

Il legame tra vetro e intercalare di stratifica dipende dai legami idrogeno che si strutturano tra la superficie del vetro e gli ossidrili della struttura del PVB che, a tutti gli effetti, risulta essere un copolimero statistico costituito da monomeri di vinil butirrale (azzurro), vinil alchool (blu) e vinil acetato (verde).

Nel caso di corretto lavaggio superficiale del vetro, ottenuto con acqua demineralizzata con una conducibilità elettrica (dovuta agli ioni in essa disciolti) non superiore ai 20 Siemens, i gruppi -Od-—Hd+ presenti sulla superficie del vetro possono interagire con gli idrossili del PVB dando luogo a legami idrogeno, così come da figura 18.

Qualora l’acqua di lavaggio risultasse ricca di ioni metallici Sodio (Na+Cl) o Potassio (K+Cl) l’adesione risulterebbe ridotta, ma non in maniera così gravosa come risulterebbe in presenza di ioni Calcio (Ca+Cl2) o Magnesio (Mg+Cl2). Questo per l’effetto di competizione polare tra gli ioni disciolti in acqua ed i siti -Od- – Hd+ presenti sulle superfici di vetro e dell’intercalare, così come si può schematicamente comprendere dalla figura 5.

 

Fig. 5 Schema delle modalità di adesione tra PVB e vetro dovuta ai legami idrogeno
[M. Schuster,J. Schneider, T. An Nguyen – Investigations on the execution and evaluation of the Pummel test for polyvinyl butyral based interlayers – Glass Struct Eng (2020) 5:371–396 ]
Siccome l’acqua è profondamente polare anch’essa, se presente, entra in diretta competizione con le superfici di vetro e PVB interagendo con i gruppi
-Od-—Hd+ già in fase di stratifica dando luogo all’insorgenza, nel tempo, di bolle e delaminazione (vedi figura 6).

 

Fig. 6 – Interazione di acqua e di ioni che deprime il potere adesivo del pvb al vetro
[Edge Stability and Potential Cause of Blemishes in Laminated Safety Glass – di: Vaughn Schauss – Kuraray – Glass Performance Days 2017]

Il PVB è classificato quale intercalare di stratifica igroscopico e in quanto tale può assorbire facilmente, nel tempo, umidità atmosferica dall’ambiente di installazione. L’effetto finale è uno sbiancamento, un rigonfiamento e una conseguente delaminazione. Come si può osservare l’effetto di questa saturazione porta a risultati fortemente squalificanti per il manufatto finale (vedi figura 7 e 7a).

 

Fig. 7 e 7a – Effetto, nel tempo, dell’interazione tra PVB e umidità atmosferica. Lovere (BG) – Lago di Iseo

Plastico di stratifica a base di Etilene vinil acetato (EVA)

Per evitare situazioni incresciose come è possibile in linea di principio, impiegare una famiglia di polimeri di stratifica che risultano essere tutt’altro che idrofili: gli intercalari a base di Etilene vinil acetato.

La struttura dell’EVA, che è un copolimero costituito da polietilene e vinil acetato, è quella riportata in figura 7 e 7a.

Gli EVA impiegati per stratificare il vetro, alla fine del ciclo di stratifica, risultano essere reticolati, ovvero costituiscono una struttura tridimensionale costituita da legami covalenti che non può più essere rifusa anche se viene applicato nuovamente calore al vetro. Questo comportamento differisce in maniera sostanziale da quello degli altri intercalari (di natura termoplastica) che, se nuovamente riscaldati, rammolliscono e possono essere riprocessati.

Il motivo per cui gli intercalari realizzati in EVA vengono reticolati risiede nel fatto che il polimero, se a temperatura ambiente risulta solido e compatto, qualora dovesse raggiungere temperature dell’ordine degli 80-90°C si rammollirebbe a tal punto da fluire fuori dalle lastre di vetro.

Gli attivatori di reticolazione agiscono durante il ciclo di polimerizzazione ben oltre i 100°C, ovvero dopo che le macromolecole si sono assestate occupando tutti gli spazi disponibili legando ad essa le lastre di vetro (vedi figura 8).

 

Fig. 8 – Reticolazione di un intercalare EVA per vetri stratificati
[Ch. Hirschl et al., In-line determination of the degree of crosslinking of ethylene vinyl acetate in PV modules by Raman spectroscopy]
Se il polimero non venisse reticolato durante la seconda fase del ciclo di stratifica, la sua bassa viscosità potrebbe rappresentare nel tempo un serio problema perché non è raro raggiungere, nella vita di un vetro, temperature oltre gli 80°C.

Le molecole di EVA non presentano gruppi -Od-—Hd+ e quindi, per loro natura, così come spontaneamente non interagiscono con l’acqua, non potrebbero nemmeno interagire con le superfici di vetro. Per garantire l’adesione con il vetro, quindi, gli intercalari EVA contengono opportuni “accoppiatori silanici” ovvero delle molecole aggiunte nella “ricetta di base” le cui estremità sono compatibili, da una parte con i gruppi -Od-—Hd+ del vetro e dall’altra parte interagiscono intimamente con le molecole di EVA. Sono delle specie di adattatori elettrici da viaggio quando si va in paesi con soluzioni elettriche diverse dalle prese italiane (vedi figura 9).

 

Fig. 9 – Schema di funzionamento degli accoppiatori silanici quando il polimero è sprovvisto di gruppi -Od-—Hd+ per interagire con la superficie di vetro [https://technical.gelest.com/]
Il mondo degli EVA è particolarmente variegato perchè le “ricette” delle mescole vanno ben oltre le caratteristiche fisiche e meccaniche del polimero di base. La scelta delle modalità di attivazione della reticolazione e degli accoppiatori EVA-vetro costituiscono la vera differenza tra mescole. In pratica non basta dire EVA per aver risolto i problemi di idrofobia, di stabilità meccanica e termica perché le proprietà globali quali: tenuta meccanica e rigidezza (per impieghi di tipo strutturale), viscosità (per stratificare il vetro con materiali diversi), resistenza alla nebbia salina (per validare la possibilità di essere impiegati in ambienti aggressivi), grado di reticolazione (per definire la stabilità e strutturalità del prodotto polimerizzato) sono tutti aspetti determinati dalla “ricetta segreta” del produttore.

La chimica non fa sconti.

Conclusioni

Si fa presto a dire “vetro”…

In realtà bisogna essere consapevoli di come una vetrata rappresenti un sistema costituito da più materiali di natura radicalmente differente tra loro. Ciascuno di essi, ognuno in modo diverso, risente degli effetti dell’ambiente esterno e i singoli materiali, a loro volta, interagiscono fra loro.

La corretta progettazione volta a mettere in opera vetrate sicure, esteticamente di impatto e che mantengano le proprie caratteristiche nel tempo, passa anche attraverso la conoscenza specifica di come sole, vento acqua incidano su di esse.

 

 

a cura di Michel Palumbo progettista di VetroStrutturale