Il presente articolo intende fare una analisi puntuale di come l’ambiente, nello specifico, sole, vento, acqua, interagisca con gli attuali sistemi vetrati.
Nell’architettura moderna il vetro non è più un materiale, è divenuto un sistema complesso che coinvolge molteplici fattori: la chimica dei polimeri, dei metalli, del vetro stesso, delle rispettive superfici e le loro compatibilità. Tale sistema risente in maniera considerevole delle interazioni con l’ambiente nel tempo. Per chiarire l’idea della complessità basta fare un esempio: ciò che oggi deve essere una vetrazione realizzata in vetrocamera per una categoria speciale tra quelle previste dal prospetto 2 della UNI 7697:2021.
Vetro di facciata presso l’aula Magna di un Istituto Scolastico Secondario posto raso terra sia all’interno che all’esterno (ovvero in ossequio al punto 7.1: “senza rischio di caduta nel vuoto”):
Lastra di vetro esterno:
monolitico temprato molato a filo grezzo con deposito superficiale di ossidi metallici tesi a ridurre sia le dissipazioni di calore che l’apporto di eccessiva energia solare all’interno dell’ambiente. Il vetro è marcato CE secondo UNI EN 12150-2
Profilo distanziale:
- canalino a “bordo caldo”
- sigillatura primaria: butilica
- sigillatura secondaria: poli isobutile
Gas di riempimento:
Argon 90%
Lastra di vetro interno:
- vetro stratificato di Classe 1B1 secondo UNI EN 12600
- molato a filo lucido secondo UNI 11649
- marcata CE secondo UNI EN 14449
La vetrocamera, nel suo complesso, sarà marcata CE secondo UNI EN 1279-5. La vetrata isolante che stiamo analizzando dovrà poi essere intelaiata perché il sigillante secondario impiegato non è adatto ad essere irradiato dalle frequenze U.V. dirette.
L’impiego di un vetro monolitico temprato all’esterno significa, infine, che la vetrocamera presenta una superficie complessiva minore di 6 m2. Se la superficie fosse maggiore di 6 m2, secondo la UNI 7697, entrambe le lastre sarebbero dovute essere stratificate di classe 1B1 (vedi figura 1).
Come incidono sole, vento e acqua su tale sistema vetrato
Sole
L’irraggiamento solare è una delle variabili di progetto più gravose per il “sistema vetro” perché ne influenza il comportamento sia dal punto di vista chimico (aggressione U.V. dei polimeri) sia dal punto di vista termico. L’aspetto termico, a sua volta, influenza la rigidezza a taglio dell’intercalare di stratifica e contemporaneamente può sollecitare il bordo del vetro in presenza di eventuali ombre.
Irraggiamento U.V.
Le frequenze ultraviolette possono infragilire i polimeri impiegati sia per la sigillatura primaria che per la sigillatura secondaria della vetrocamera. Questi ultimi, se non opportunamente scelti, sono soggetti a frammentazione delle macromolecole costituenti e conseguente loro ri-radicalizzazione (vedi figura 2).
L’operazione di frammentazione delle macromolecole organiche è dovuta alle alte energie proprie delle radiazioni UV (soprattutto nel range 280-380 nm [ Ludwig, B. & Wolf, A.T. 1986, ‘Insulating glass sealants – test and evaluation criteria’, Kautschuk und Gummi, Kunststoffe, 39(10), 922 – 928]). L’interazione dei radicali generati dalla scissione molecolare con le molecole di ossigeno presenti nel gas di riempimento e con quelle permeate dall’ambiente, aggrava l’effetto di infragilimento. L’unica classe di polimeri che resiste bene alle radiazioni ultraviolette dirette è quella dei siliconi (polimeri inorganici) stante la loro struttura Si – O rispetto alla struttura organica (C-C) di Polisolfuri e Poliuretani. Il motivo è connesso all’energia di legame Si-O che è di 535kJ/mole ben superiore a quella dei legami C-C (335kJ/mole) e C-O (339kJ/mole).
In pratica i legami chimici che costituiscono lo scheletro delle molecole organiche risultano particolarmente soggetti all’irraggiamento solare e pertanto devono essere protetti dall’irraggiamento diretto. Per questo motivo possono essere impiegati in vetrocamere intelaiate o comunque schermate agli UV sul perimetro (vedi figura 3).
La regione più aggredita della sezione tipo di una vetrocamera è la superficie di adesione tra vetro e polimero esposta all’irraggiamento; essa risulta comunque coinvolta da un parziale irraggiamento UV anche nel caso di profili inseriti in serramenti a causa del comportamento di guida d’onda e riflessioni interne delle lastre di vetro più esterne. L’elevato assorbimento delle frequenze UV da parte dei polimeri UV bloccanti (tra cui il PVB, ma non solo) può giocare un ruolo molto interessante per proteggere le sigillature delle vetrocamere.
In sintesi, possiamo affermare che l’infragilimento del polimero non consente alla sigillatura (schematizzata nella figura 3 con molle elastiche) di seguire correttamente la rotazione delle lastre di vetro lungo il bordo di chiusura durante il ciclico carico climatico cui sono soggette le vetrocamere (vedi figura 4).
La variazione ciclica della pressione del gas interna al vetrocamera, rispetto alla pressione esterna dovuta ai carichi termici e baromentrici, comporta una sollecitazione a fatica ciclica della sigillatura (sia quella primaria che quella secondaria, vedi figura 5).
Questo fenomeno può ingenerare cavillature nella sigillatura primaria con conseguente riduzione della tenuta al gas di riempimento, alla permeazione dell’umidità ambiente e conseguentemente può portare ad un rapido decadimento delle proprietà è della durabilità della vetrocamera (vedi figura 6).
Riscaldamento del gas di riempimento
Una delle cause di maggior sollecitazione delle sigillature risiede nelle variazioni cicliche di pressione indotte dalle fluttuazioni termiche ambientali rispetto a quelle barometriche. Un elevato soleggiamento comporta quindi un maggior rischio di degradazione delle sigillature (soprattutto la primaria) a causa delle elevate sovrapressioni dovute al riscaldamento del gas isolante. È pacifico che una sigillatura stressata, in presenza di cavitazione, ha un’efficacia di confinamento del gas inferiore rispetto a quello che la cinetica della diffusione dei gas prevederebbe per una situazione analoga in presenza di una sigillatura butilica integra (vedi figura 7).
Riscaldamento dell’Intercalare Polimerico
Il riscaldamento solare (e non) influenza in maniera sostanziale il comportamento dei polimeri di stratifica. Le materie polimeriche risentono in chiave peggiorativa sia la temperatura di impiego (che a livello di progetto deve essere sempre la più sfavorevole) che la durata del carico agente. Nel caso specifico la conseguenza immediata è che a parità di spessore geometrico, lo spessore equivalente dello stratificato (ovvero lo spessore di un monolitico che si comporta in maniera equivalente allo stratificato) si riduce progressivamente (vedi figura 8).
Più precisamente:
- a temperature basse il multistrato tende a comportarsi come un vetro monolitico di pari spessore. In questo caso il coefficiente di collaborazione è: h=1;
- a temperature elevate il multistrato si comporta invece come se le lastre fossero completamente indipendenti. In questo caso il polimero assolve essenzialmente al compito di tenere unite tra loro le lastre e le eventuali schegge in caso di rottura di una o più di esse. In questo caso il coefficiente di collaborazione è: h=0;
- per temperature intermedie le lastre sono parzialmente collaborative. Lo spessore equivalente, dato fondamentale per la progettazione meccanica del “sistema vetro”, non sarà quello geometrico dello stratificato, ma non sarà nemmeno quello proprio di lastre indipendenti. In questo caso il coefficiente di collaborazione è: 0 < h < 1 (vedi figure 9 e 10)
Riscaldamento del vetro
Il riscaldamento del vetro dovuto all’irraggiamento solare può indurre una rottura delle lastre ricotte per stress termico (vedi figura 11). Il bordo, occultato nel telaio (o dalle ombre), tende a dilatare meno di quanto non tenda a dilatare la regione di vetro investita direttamente dall’irraggiamento solare: la conseguenza è che il bordo in ombra tenta di ostacolare la dilatazione della grande superficie centrale che, per dimensioni, è vincente. Il bordo si trova in condizioni di trazione e la trazione tende ad aprire le microcricche presenti (vedi figura 12).
Le microcricche sono dovute al “taglio” del vetro e la loro profondità dipende dalle successive operazioni di molatura. Come è noto il vetro non viene tagliato, ma viene “inciso ed aperto” e questo procedimento di separazione delle lastre induce una superficie lungo il bordo profondamente frastagliata. Tanto più profonda è la cricca tanto minore è lo sforzo dovuto alla dilatazione termica differenziale che la lastra è in grado di sostenere. Il vetro non molato è quello più soggetto alle rotture per sollecitazione termica (vedi figura 13).
Il processo di molatura ha come obbiettivo quello di eliminare le cricche più profonde e di regolarizzare la difettosità del bordo. Rispetto all’ipotesi di impiegare vetro sfilettato, già la molatura a filo grezzo (m.f.g.) rappresenta un passo avanti verso la riduzione del rischio di rottura per stress termico, ma la rugosità superficiale risulta ancora apprezzabile. La molatura a filo lucido (m.f.l.) dei bordi delle lastre è un buon viatico per ridurre (non scongiurare) sensibilmente il rischio di rottura per sollecitazione termica. L’immagine ottenuta al Microscopio Elettronico di un bordo molato a filo lucido mostra che la superficie non sarà mai liscia, ma che le difettosità possono essere fortemente ridotte in profondità.
Per garantire che le sollecitazioni termiche non causino rotture è necessario temprare (o indurire termicamente, dipende dall’accumulo di calore dovuto a ombre o trattamenti superficiali) la lastra di vetro soggetta a maggior sollecitazione termica (vedi figura 14).
A questo punto è lecito chiedersi il perchè di questo approfondimento: se il vetro preso in considerazione è soggetto a riscaldamento solare le lastre sono soggette a cicli di sollecitazione termica a causa del riscaldamento differenziale tra regione centrale e bordo alloggiato nel telaio, inoltre, trattandosi di vetrocamera il vetro risulta anche ciclicamente sollecitato dagli sforzi indotti dai carichi climatici. La combinazione di queste sollecitazioni può comportare, nel tempo, l’innesco di fratture per stress termico.
Per avere la certezza che queste sollecitazioni indotte dalla temperatura possano portare a rottura il vetro è necessario:
I) trattare termicamente i vetri, ma oltre ad un aggravio di costi sicuramente insorgono, nel prodotto finito, anche fenomeni di distorsione ottica fortemente dipendenti dalla qualità di tempra che si è in grado di realizzare,
oppure
II) sottoporre le lastre di vetro a tempra chimica dei bordi per creare una precompressione superficiale e, nel contempo, minimizzare fenomeni di distorsione ottica. E’ necessario, in questo caso, avere la consapevolezza di dover stratificare il vetro temprato chimicamente dato che non è considerato un vetro di sicurezza (come lo è invece il vetro temprato termicamente).
In questo caso, così come nel caso dei vetri ricotti, le operazioni di installazione devono essere particolarmente rispettose dello stato di finitura dei bordi perché l’operazione di tempra chimica raggiunge profondità dell’ordine di 0,1 – 0,2 mm. La molatura a filo lucido consente di mantenere la planarità del vetro e di evitare i trattamenti di tempra (termica o chimica), ma non elimina completamente il rischio di rotture per sollecitazione termica.
FINE PRIMA PARTE
a cura di Michel Palumbo progettista di VetroStrutturale
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